Articolo | SoWhat – A cura di Peppe Trotta

In una realtà in cui si è sempre più spinti ad essere consumatori distratti votati all’accumulo, incapaci di districarsi nel bulimico sommarsi di oggetti scaturenti da dinamiche produttive voraci, quale valore permane nel gesto creativo? Quale forma di connessione e dialogo si instaura ancora tra artista e fruitore?

Questi sono solo alcuni degli interrogativi da cui muove La natura delle cose ama celarsi, percorso di ricerca condotto da Stefano De Ponti a partire dal 2019 e confluito, dal novembre dell’anno successivo, nell’ambiente messogli a disposizione da Nub all’interno del contenitore fisico/virtuale Licheni.

Artista intermediale e osservatore inquieto – come lui stesso si definisce – De Ponti ha all’attivo diverse esperienze con istituzioni artistiche internazionali e un nutrito numero di pubblicazioni, molte delle quali scaturenti da una costante pratica di ibridazione di dimensioni sensoriali differenti.  In particolare le sue attività nel contesto teatrale e le tanti collaborazioni con artisti visivi hanno giocato un ruolo determinante nella costruzione di una visione trasversale volta ad attivare processi di scambio su vari livelli percettivi. Questa doppia attitudine – crossmedialità e disponibilità al dialogo – è pienamente rintracciabile nell’itinerario lentamente costruito tra il suo atelier, la cava Nardini di Vellano e appunto gli spazi di Nub frequentati con regolare cadenza settimanale dopo la fine del primo lockdown.

“La natura delle cose ama celarsi” raccoglie un’ampia serie di pensieri, schizzi e resoconti dell’attività svolta, incentrata – come si diceva in premessa – sulle dinamiche di massificazione e accumulo dei processi di creazione e fruizione, poste in relazione con l’inevitabile impermanenza che accomuna ogni cosa. Elemento cardine da cui è scaturita la visione iniziale è la Pietra Serena, arenaria endemica del territorio abitato da De Ponti e dalle qualità particolari, qui utilizzata in forme diverse (polvere, pigmento, piccola scultura, macigno) lungo un tracciato in divenire definito da una gestualità costantemente in bilico tra progettualità consapevole e casualità degli accadimenti. Questa incessante elaborazione dell’opera ha determinato una sequenza di atti da cui vengono generati segni volutamente effimeri, destinati a tramutarsi in tracce di memoria attiva, testimonianza aleatoria determinata dall’esperienza e dalla sua condivisione.

L’intero processo prevede il raggiungimento di quattro approdi, tre dei quali già raggiunti. Le prime due tappe in particolare – “Impermanenze” e “Relazione Minima” – si sono svolte negli spazi di NUB mentre la terza – “Cimento” – ha avuto luogo nella Cava Nardini dove tutto è cominciato. Elemento comune a questi tre eventi è il senso di ritualità condivisa che mira a configurare un punto di incontro tra esecutore e fruitore, una comunione mediata dalla materia e dalla sua intrinseca capacità di divenire veicolo emozionale. L’aspetto relazionale non riguarda esclusivamente le forme di rappresentazione prodotta, ma è stato fondamentale per la realizzazione dell’intero progetto e lo sarà per le sue future evoluzioni. Importante sono stati il coordinamento, la collaborazione e il confronto attivo di molte persone tra cui: il fotografo Andrea Berti, l’informatico Lorenzo Maffucci, lo scalpellino Marco Nardini e lo scultore Silvio Viola, il team di Tempo Reale nelle persone di Giulia Sarno, Luisa Santacesaria, Leonardo Rubboli e Giovanni Magaglio, Francesca e Federico di NUB, Ilaria e Carola di Radio Papesse.

Da questa profonda sinergia prende forma un’indagine coinvolgente che invita a riflettere sul senso del “fare arte” nel mondo contemporaneo e che giungerà a compimento con la realizzazione dei Transient Mobiles, serie limitata di device monofonici portatili – sviluppati con il contributo fondamentale del programma di residenze KATE di Tempo Reale – contenenti ciascuno un diverso e unico flusso sonoro riservato ad un solo ascoltatore, il quale dovrà usare il proprio corpo come mezzo di conduzione di una composizione destinata ad un’unica esecuzione. Sfruttando l’unicità e le caratteristiche effimere dello strumento di riproduzione, l’invito è quello di rapportarsi all’opera predisponendo il proprio stato d’animo a una fruizione piena e consapevole, proprio perché unica e irripetibile.

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